lunedì 26 gennaio 2009

La convinzione che si va diffondendo

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Tra i frequentatori di importanti siti ove è dato spazio ai commenti (Marketwatch, per esempio), si va diffondendo la convinzione che, a fronteggiare il disastro finanziario ed economico, non possano essere gli stessi che lo hanno provocato: niente di più semplice e logico, dicono, al punto che nemmeno il più pignolo dei cattedratici ne esigerebbe la dimostrazione. Semmai, con i loro maldestri espedienti, riusciranno soltanto a far sprofondare ulteriormente la crisi, ben attenti, loro, a non pagarne le conseguenze…
E’ evidente il riferimento ai top manager di aziende, di istituti di credito, di finanziarie, fino a salire alle banche centrali ed agli organismi di controllo…
Se la convinzione è fondata, c’è da aspettarsi un tracollo senza molti precedenti (che non siano stati diretta conseguenza di guerre o rivoluzioni), peggio del ’29, per via della sua dimensione globale…

domenica 18 gennaio 2009

Qualche idea (un pò troppo) ragionata

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Il 28 giugno 2008 avevo inserito il post dal titolo “Secondo semestre 2008: scoppio delle bolle speculative” nel quale mi ero rammaricato che non si riuscisse a mettere a fuoco le possibili strategie, o più semplicemente le scelte, che consentissero di smorzare il colpo. Avevo parlato di una ipotetica graduatoria di livello di rischio, da affinare al meglio, ibrida, ossia funzione di tutte le possibili variabili eterogenee o parametri che la potessero influenzare. Avevo quindi enumerato queste variabili associandole a specifici rischi… Qualcosa di molto grossolano, tanto per tenere in esercizio la mente.
In questi 6 mesi ho sempre continuato ad impegnarmi su questo rompicapo. Con la logica e il ragionamento, visto che non sono bravo nell’azzardo o in altre tecniche. E qui sta la prima criticità, perché, come ho già avuto modo di dire, l’evoluzione dei mercati, troppo spesso, è imprevedibile e trascende dal razionale (si pensi anche a tutte le manipolazioni operate sui mercati dalle mani forti, le quali tuttavia non possono reggere a tutte le condizioni, specie a quelle estreme, ad esempio quando un sistema collassa, né a lungo termine se sono contro ogni regola...)
La seconda criticità sta nel fatto che non ho sviluppato uno studio analitico rigoroso bensì delle valutazioni spot qualitative, basate su informazioni talvolta superficiali talvolta carenti o non riscontrabili. Non ho trascurato a cuor leggero alcun input che ho potuto acquisire dall’esterno ma l’elaborazione dei dati l’ho fatta semplicemente con la mia testa con i limiti ed i condizionamenti di carattere soggettivo che ciò può comportare… Ho preso in esame anche i suggerimenti degli analisti di Europe 2020, senza però riuscire a condividerli completamente…

Banche affidabili e non: questa variabile (e conseguente livello di rischio) non l’ho affrontata (né forse disporrei degli strumenti e delle cognizioni per farlo) quanto basta per esporre delle conclusioni un minimo esaustive e sufficientemente riscontrabili, al di là delle notizie di pubblico dominio. Oltretutto la questione è intricata e molti dati ed informazioni non si conoscono o se ne conoscono le versioni ufficiali… Dicendo bene di una certa banca in base a quanto se ne sa oggi, si potrebbe essere smentiti l’indomani … In buona sostanza, è un pò come camminare sopra un campo minato senza... un rilevatore di mine... Infine sparare giudizi in questo ambito potrebbe essere pericoloso e comportare conseguenze...

Ho invece affrontato la variabile Rischio Paese e connessa valuta.
Scartati a ragion veduta gli USA e il Regno Unito. Esclusi il Giappone e la Svizzera nonostante abbiano fama di Paesi Rifugio in tempi di crisi (con riferimento alle rispettive valute).
Non raccolti elementi convincenti sulla capacità di tenuta alla crisi dei Paesi emergenti (Brasile, Russia, Cina, ecc.). Più di un dubbio per l’Eurozona ed altri Paesi europei.
Ne escono due Paesi che potrebbero patire la crisi con danni più contenuti rispetto alla media: sono l’Australia e la Norvegia, pur con qualche dubbio in più riguardo alla Norvegia...
Eccone le ragioni che ho raccolto (con l’indicazione dei possibili limiti e fattori “contro”):

a) L’Australia
E un continente fisicamente a sé, legato agli USA ma non agli eccessi, almeno non come il Canada (altro paese OK, non fosse per la sua contiguità e i troppo stretti legami economici con gli stessi USA).
E’ Paese politicamente stabile, strutturalmente ed economicamente evoluto.
La corruzione è pressoché inesistente (Transparency International).
E’ ricco di materie prime (nonostante i limiti di quest’aspetto in tempi di crisi economica).
Ha un debito pubblico pari al 15,4% del PIL nel 2007 (classifica CIA – The World Factbook)
Ha un prodotto interno lordo pro-capite di 36.300 US$ nel 2007 (classifica CIA – The World Factbook)
La banca centrale australiana segue “ad una certa distanza” la politica dei tassi della Federal Riserve: il tasso di sconto ai primi di ottobre era il 6% e credo sia tale ancora oggi; probabile che lo riducano, ma sono ancora lontani dal cul de sac nel quale si sono cacciati gli USA, ancor prima il Giappone e nel quale, piano piano, sta per finire anche Eurolandia.
Il dollaro australiano, negli ultimi sei mesi, ha perso circa il 30% rispetto al dollaro USA.


b) La Norvegia
E’ Paese politicamente stabile, strutturalmente ed economicamente evoluto.
La corruzione è a livelli contenuti, molto bassa se rapportata alla media mondiale (Transparency International).
E’ produttore ed esportatore di petrolio e gas naturale, con riserve ancora significative (mosca bianca in Europa occidentale).
Ha 4,5 milioni di abitanti soltanto.
Ha un debito pubblico pari al 75% del PIL nel 2007 (relativamente alto, classifica CIA – The World Factbook)
Ha un prodotto interno lordo pro-capite di 53.000 US$ nel 2007 (il 5° più alto, classifica CIA – The World Factbook)
La banca centrale norvegese sta seguendo la universale politica di taglio dei tassi di sconto: il 17 dicembre scorso, lo ha portato di colpo dal 4,75% al 3% (fattore contro).
La corona norvegese, negli ultimi sei mesi, ha perso circa il 40% rispetto al dollaro USA.
Esiste il fondo petrolifero sovrano (Norways’s Sovereign Oil Fund) ribattezzato, per un verso impropriamente, Fondo Pensioni Governativo. Istituzionalmente non è destinato ai pensionati di oggi ma alle future generazioni. Questo fondo non basa le sue entrate sulle contribuzioni pensionistiche dei lavoratori attivi, bensì sui proventi del petrolio che reinveste all’estero, essenzialmente in azioni ed obbligazioni. Su internet è reperibile il prospetto del suo portafoglio azionario al 31 dicembre 2007 (cercare Norges Bank Investment Management, Annual Report 2007, Government Pension Fund, Global Holding of Equities): si tratta di 43 pagine, ogni pagina riporta ~160 azioni diverse di altrettante società quotate nei più disparati settori e Paesi al mondo. I gestori del fondo continuano imperterriti ad investire senza disinvestire alcunché, nel senso che risultano esservi, ad esempio, anche delle Lehman Brothers o altri titoli che gestori più accorti avrebbero scaricato, per cui la perdita di questo fondo, conseguente al crollo delle borse nel mondo, è marcata e pubblicamente ammessa dagli stessi gestori: anche nel 3° trimestre 2008 è stata notevole, solo in parte compensata dai maggiori introiti dal petrolio. La diversificazione è assai spinta e non pare più di tanto fatta a pioggia. Il valore del fondo, al 30 settembre 2008, risultava di 2.120 miliardi di corone. Il fondo sta subendo, in quest’ultimo periodo ancor più di prima, una sensibile perdita in termini di valore globale a causa dell’ulteriore crollo dei mercati azionari, nemmeno più compensato dagli introiti del petrolio, visto che la quotazione dell’oro nero si è drasticamente ridotta agli attuali ~ 40 $ al barile (fattore contro). Avere riserve di petrolio (e la piattaforma continentale norvegese ne contiene ancora) è comunque un elemento a favore.


Cosa dicono in estrema sintesi gli analisti di Europe 2020
Gli ultimi bollettini non parlano dell’Australia, mentre è menzionata negativamente la Norvegia (bollettino n° 28 del 15 ottobre 2008), per via del fondo sovrano di cui sopra, di cui evidenziano le forti perdite a causa del crollo delle borse.
Riguardo alle valute, nell’ultimo report (emesso il 15 gennaio 2009, quindi 3 giorni fa rispetto alla pubblicazione di questo post), scommettono sulla tenuta dello Yen, del Yuan cinese e dell’Euro, mentre vedono nero per US$, Lira Sterlina e Franco Svizzero.


Nota importante

Questo blog è aperto all’accesso e ad ogni riscontro critico (che sarebbe gradito in quanto ne migliorerebbe il contenuto) da parte di chi fosse interessato, ma resta soprattutto un promemoria-riscontro per il sottoscritto. Spero quindi che nessuno dei (pochi) lettori che si trovassero ad incrociarlo compia scelte che, a posteriori, si possano rivelare economicamente sconvenienti, a causa del suo contenuto.

domenica 11 gennaio 2009

Core Tier 1 alla deriva ovvero ai derivati

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Si parla insistentemente del Core Tier 1: per un istituto bancario, questo parametro è il rapporto tra il capitale proprio e gli impegni a rischio (ossia i crediti e gli investimenti a rischio di recupero). Più è basso il suo valore più è critica la posizione dell’istituto...

Eugenio Benetazzo, dal meeting di Cesena del 25 ottobre scorso, ha diffuso la tabella seguente:

ISTITUTO BANCARIO ............................... Core TIER 1 (%)

Banca CARIGE .............................................. 12,08 (<=> 12,08 / 100)
UBI Banca ................................................... 10,32
Credito Valtellinese .........................................10,22
Banco Popolare .............................................. 8,47
Intesa SanPaolo ............................................. 8,22
BIPIEMME .................................................... 7,53
MPS ........................................................... 7,01
Santander .................................................... 6,05
Unicredit ..................................................... 5,63
Credem ....................................................... 5,35
HSBC .......................................................... 5,26
BBVA ........................................................... 5,14
RBS ............................................................ 3,91
Société Générale ............................................. 3,74
BNP Paribas ................................................... 3,09
LLoyds ......................................................... 3,01
Credit Suisse .................................................. 3,01
Credit Agricole ................................................ 2,81
UBS ............................................................. 2,52
Barclays ........................................................ 2,41
Deutsche Bank ................................................ 1,69

Si tratta di un elenco parziale. Mancano del tutto le grandi finanziarie americane e non solo quelle… Né ricordo se Benetazzo abbia indicato la fonte da cui ha attinto questi dati.
Tuttavia è ragionevole credere che siano veritieri o, forse meglio dire, siano dati “ufficiali”.
Per Unicredit è quello sopra riportato, tant’è che, proprio in questi giorni, i vertici dell’istituto stanno facendo uno sforzo notevole per elevarne il valore di circa un punto percentuale con un aumento di capitale, nella speranza di mettere la quotazione del titolo azionario al riparo dalle “insidie” dei mercati, ossia dagli attacchi più o meno speculativi o più semplicemente dalle vendite, che hanno prodotto una forte perdita del valore del titolo stesso in quest’ultimo anno.
Già perché, di questi tempi, raddoppiare il valore del Core Tier 1 sarebbe impresa ciclopica; infatti occorrerebbe raddoppiare il capitale sociale oppure dimezzare i crediti inesigibili, entrambe operazioni alquanto difficili se non impossibili vista l’aria che tira…
Ma quello che sorprende della tabella, è il dato bassissimo di Deutsche Bank…
Non compare il dato di Commerzbank, seconda banca tedesca, ma non dev’essere stato molto alto nemmeno quello, visto che il Governo Tedesco, il giorno 8 gennaio scorso, ha nazionalizzato il 25% di questa banca, con apporto di nuovo e rilevante capitale pubblico, giusto per portare il Core Tier 1 al 10%... Il giorno dopo (ossia l'altro ieri rispetto alla data di questo post), per tutta risposta, il mercato azionario ha reagito con un -11% sul titolo…
Questo accade in Germania, primo Paese dell’Eurozona per importanza e peso economico. Chi ritiene che valga l'equazione Euro = Germania = Certezza + Solidità, potrebbe trovarsi a gestire qualche piccolo dubbio…
E cosa dire delle due più grandi banche svizzere nonché tra le più grandi banche al mondo, UBS e Credit Suisse? Entrambe, specie UBS, hanno già pesantemente pagato per il troppo modesto livello del Core Tier 1, in termini di perdita di valore dei loro rispettivi titoli azionari. In aiuto di UBS è recentemente intervenuta la Banca Centrale Svizzera mentre per CS è intervenuto un fondo petrolifero sovrano ma, in entrambi i casi, ben lungi dall’incidere sul loro rispettivo Core Tier 1 in misura significativa e tranquillizante. Se la crisi si dovesse accentuare, le due grandi banche (multinazionali oltre che svizzere) sarebbero nazionalizzate dalla Banca Centrale con il supporto dei contribuenti svizzeri?
Dell’Italia forse è meglio non parlare troppo, anche perché appare impresa non facile…

Dollaro in (temporaneo?) recupero e repentina discesa del prezzo del petrolio - Cosa dice Europe 2020?

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(Aggiornamento di fine anno 2008, anche con riferimento alle ultime analisi di Europe 2020)
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Rispetto alla situazione in atto sei mesi fa e alle conseguenti previsioni, i due eventi di mercato che, sorprendendo un pò tutti gli analisti, hanno comportato variazioni inaspettate sono:

a) Il recupero del dollaro: da ~1,60 a ~ 1,30 sull’Euro

b) Il forte ridimensionamento del prezzo del petrolio (da ~150 a ~ 45 $/barile)

Nessuna nuova sul resto delle previsioni che rimangono tal quali.

Mentre l’imprevisto recupero del dollaro potrebbe essere l’effetto di manipolazioni concertate, la caduta del prezzo del petrolio risente in buona misura (anche se forse non solo) dei venti di crisi che già stanno colpendo ma ancor più colpiranno duramente dell’economia reale, gli USA in testa.
Quindi dal petrolio e da tutti i prodotti di raffinazione che muovono l’economia reale arriva una boccata d’ossigeno. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio: il petrolio a 45 $, per di più con un $ parecchio svalutato dalle vicende di questi ultimi tempi, rappresenta un allarmante termometro della crisi attesa nei mesi a venire …

Tornando all’evoluzione del dollaro, sul sito Marketwatch avevo postato il seguente commento ad uno loro specifico articolo del 23 ottobre 2008:
I’ve read many reasons about the US $ recent rise. Here is my opinion too:
> I agree with some previous comments: the money and currency markets are strongly manipulated, as written already;
> There are two parallel/interconnected currency markets, the largest telematic one (intangible money) and the (normally smaller) paper currency market. A lot of investors are selling their (US $ quoted) assets and ask to be paid cash: nothing but paper money to keep instead of (intangible) bank deposits or something like that (as confidence is lost). In other words, they put into practice the following way of thinking: better to keep some amount of tangible dollar bills, never mind if they lose their purchasing power, than to find out to own nothing… And this contributes to rise the dollar exchange rate. It’s a plain market matter (basic rule of supply and demand). Of course, such a way of saving money gives no interests. So the Yen is even better (than the US Dollar)…
Questo mio commento, dopo aver ricevuto 5 voti positivi da altrettanti lettori (i primi ed ultimi ad averlo letto), è stato fatto sparire quasi subito assieme a tutto l’articolo…

Gli analisti di Europe 2020, nel bollettino emesso il 15 dicembre 2008, fanno una revisione critica delle anticipazioni da loro pubblicate nei mesi precedenti stimando di averle azzeccate all’87%.
Tra quelle sbagliate al 100% citano:
· la mancata elezione di McCain (che avevano dato per certa);
· la crisi istituzionale in Francia, con crollo d’immagine per Sarcozy, fatto non verificatosi (ma, dicono gli stessi analisti, il rischio è tutt’altro che superato …);
· cambio EUR/USD a 1,75 per la fine del 2008: per loro, il raggiungimento di questo livello di cambio è solo una questione di tempo, con un ritardo dell’ordine di un trimestre o poco più…
Tra quelle solo in parte sbagliate (al 50%) citano l’anticipazione sui costi energetici in quanto non avevano previsto la brusca inversione di tendenza del prezzo del petrolio a partire dalla scorsa estate.
Tutte le altre anticipazioni sono state da loro valutate corrette in quanto confermate dai fatti.
Tra queste anche la prevista (e da loro non condivisa) discesa dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali, unitamente alla diffusa convinzione (da loro analogamente non condivisa) che tale riduzione possa essere risolutiva della crisi e sufficiente a rilanciare l’economia…

Tutto quanto sopra, salvo errori ed omissioni da parte di chi scrive (viste le non certo illimitate capacità e conoscenze). Quindi con beneficio di attenta verifica critica da parte di chi dovesse leggere, specie riguardo all’aspetto delle previsioni.