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Il 28 giugno 2008 avevo inserito il post dal titolo “Secondo semestre 2008: scoppio delle bolle speculative” nel quale mi ero rammaricato che non si riuscisse a mettere a fuoco le possibili strategie, o più semplicemente le scelte, che consentissero di smorzare il colpo. Avevo parlato di una ipotetica graduatoria di livello di rischio, da affinare al meglio, ibrida, ossia funzione di tutte le possibili variabili eterogenee o parametri che la potessero influenzare. Avevo quindi enumerato queste variabili associandole a specifici rischi… Qualcosa di molto grossolano, tanto per tenere in esercizio la mente.
In questi 6 mesi ho sempre continuato ad impegnarmi su questo rompicapo. Con la logica e il ragionamento, visto che non sono bravo nell’azzardo o in altre tecniche. E qui sta la prima criticità, perché, come ho già avuto modo di dire, l’evoluzione dei mercati, troppo spesso, è imprevedibile e trascende dal razionale (si pensi anche a tutte le manipolazioni operate sui mercati dalle mani forti, le quali tuttavia non possono reggere a tutte le condizioni, specie a quelle estreme, ad esempio quando un sistema collassa, né a lungo termine se sono contro ogni regola...)
La seconda criticità sta nel fatto che non ho sviluppato uno studio analitico rigoroso bensì delle valutazioni spot qualitative, basate su informazioni talvolta superficiali talvolta carenti o non riscontrabili. Non ho trascurato a cuor leggero alcun input che ho potuto acquisire dall’esterno ma l’elaborazione dei dati l’ho fatta semplicemente con la mia testa con i limiti ed i condizionamenti di carattere soggettivo che ciò può comportare… Ho preso in esame anche i suggerimenti degli analisti di Europe 2020, senza però riuscire a condividerli completamente…
Banche affidabili e non: questa variabile (e conseguente livello di rischio) non l’ho affrontata (né forse disporrei degli strumenti e delle cognizioni per farlo) quanto basta per esporre delle conclusioni un minimo esaustive e sufficientemente riscontrabili, al di là delle notizie di pubblico dominio. Oltretutto la questione è intricata e molti dati ed informazioni non si conoscono o se ne conoscono le versioni ufficiali… Dicendo bene di una certa banca in base a quanto se ne sa oggi, si potrebbe essere smentiti l’indomani … In buona sostanza, è un pò come camminare sopra un campo minato senza... un rilevatore di mine... Infine sparare giudizi in questo ambito potrebbe essere pericoloso e comportare conseguenze...
Ho invece affrontato la variabile Rischio Paese e connessa valuta.
Scartati a ragion veduta gli USA e il Regno Unito. Esclusi il Giappone e la Svizzera nonostante abbiano fama di Paesi Rifugio in tempi di crisi (con riferimento alle rispettive valute).
Non raccolti elementi convincenti sulla capacità di tenuta alla crisi dei Paesi emergenti (Brasile, Russia, Cina, ecc.). Più di un dubbio per l’Eurozona ed altri Paesi europei.
Ne escono due Paesi che potrebbero patire la crisi con danni più contenuti rispetto alla media: sono l’Australia e la Norvegia, pur con qualche dubbio in più riguardo alla Norvegia...
Eccone le ragioni che ho raccolto (con l’indicazione dei possibili limiti e fattori “contro”):
a) L’Australia
E un continente fisicamente a sé, legato agli USA ma non agli eccessi, almeno non come il Canada (altro paese OK, non fosse per la sua contiguità e i troppo stretti legami economici con gli stessi USA).
E’ Paese politicamente stabile, strutturalmente ed economicamente evoluto.
La corruzione è pressoché inesistente (Transparency International).
E’ ricco di materie prime (nonostante i limiti di quest’aspetto in tempi di crisi economica).
Ha un debito pubblico pari al 15,4% del PIL nel 2007 (classifica CIA – The World Factbook)
Ha un prodotto interno lordo pro-capite di 36.300 US$ nel 2007 (classifica CIA – The World Factbook)
La banca centrale australiana segue “ad una certa distanza” la politica dei tassi della Federal Riserve: il tasso di sconto ai primi di ottobre era il 6% e credo sia tale ancora oggi; probabile che lo riducano, ma sono ancora lontani dal cul de sac nel quale si sono cacciati gli USA, ancor prima il Giappone e nel quale, piano piano, sta per finire anche Eurolandia.
Il dollaro australiano, negli ultimi sei mesi, ha perso circa il 30% rispetto al dollaro USA.
b) La Norvegia
E’ Paese politicamente stabile, strutturalmente ed economicamente evoluto.
La corruzione è a livelli contenuti, molto bassa se rapportata alla media mondiale (Transparency International).
E’ produttore ed esportatore di petrolio e gas naturale, con riserve ancora significative (mosca bianca in Europa occidentale).
Ha 4,5 milioni di abitanti soltanto.
Ha un debito pubblico pari al 75% del PIL nel 2007 (relativamente alto, classifica CIA – The World Factbook)
Ha un prodotto interno lordo pro-capite di 53.000 US$ nel 2007 (il 5° più alto, classifica CIA – The World Factbook)
La banca centrale norvegese sta seguendo la universale politica di taglio dei tassi di sconto: il 17 dicembre scorso, lo ha portato di colpo dal 4,75% al 3% (fattore contro).
La corona norvegese, negli ultimi sei mesi, ha perso circa il 40% rispetto al dollaro USA.
Esiste il fondo petrolifero sovrano (Norways’s Sovereign Oil Fund) ribattezzato, per un verso impropriamente, Fondo Pensioni Governativo. Istituzionalmente non è destinato ai pensionati di oggi ma alle future generazioni. Questo fondo non basa le sue entrate sulle contribuzioni pensionistiche dei lavoratori attivi, bensì sui proventi del petrolio che reinveste all’estero, essenzialmente in azioni ed obbligazioni. Su internet è reperibile il prospetto del suo portafoglio azionario al 31 dicembre 2007 (cercare Norges Bank Investment Management, Annual Report 2007, Government Pension Fund, Global Holding of Equities): si tratta di 43 pagine, ogni pagina riporta ~160 azioni diverse di altrettante società quotate nei più disparati settori e Paesi al mondo. I gestori del fondo continuano imperterriti ad investire senza disinvestire alcunché, nel senso che risultano esservi, ad esempio, anche delle Lehman Brothers o altri titoli che gestori più accorti avrebbero scaricato, per cui la perdita di questo fondo, conseguente al crollo delle borse nel mondo, è marcata e pubblicamente ammessa dagli stessi gestori: anche nel 3° trimestre 2008 è stata notevole, solo in parte compensata dai maggiori introiti dal petrolio. La diversificazione è assai spinta e non pare più di tanto fatta a pioggia. Il valore del fondo, al 30 settembre 2008, risultava di 2.120 miliardi di corone. Il fondo sta subendo, in quest’ultimo periodo ancor più di prima, una sensibile perdita in termini di valore globale a causa dell’ulteriore crollo dei mercati azionari, nemmeno più compensato dagli introiti del petrolio, visto che la quotazione dell’oro nero si è drasticamente ridotta agli attuali ~ 40 $ al barile (fattore contro). Avere riserve di petrolio (e la piattaforma continentale norvegese ne contiene ancora) è comunque un elemento a favore.
Cosa dicono in estrema sintesi gli analisti di Europe 2020
Gli ultimi bollettini non parlano dell’Australia, mentre è menzionata negativamente la Norvegia (bollettino n° 28 del 15 ottobre 2008), per via del fondo sovrano di cui sopra, di cui evidenziano le forti perdite a causa del crollo delle borse.
Riguardo alle valute, nell’ultimo report (emesso il 15 gennaio 2009, quindi 3 giorni fa rispetto alla pubblicazione di questo post), scommettono sulla tenuta dello Yen, del Yuan cinese e dell’Euro, mentre vedono nero per US$, Lira Sterlina e Franco Svizzero.
Nota importante
Questo blog è aperto all’accesso e ad ogni riscontro critico (che sarebbe gradito in quanto ne migliorerebbe il contenuto) da parte di chi fosse interessato, ma resta soprattutto un promemoria-riscontro per il sottoscritto. Spero quindi che nessuno dei (pochi) lettori che si trovassero ad incrociarlo compia scelte che, a posteriori, si possano rivelare economicamente sconvenienti, a causa del suo contenuto.