... ovvero "I Fraudolenti"
Terzine estratte qua e là, tra il XVIII e il XXX Canto dell'
Inferno di
Dante...:
Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.
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Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battìen crudelmente di retro.
Ahi com facean lor levar le berze
alle prime percosse! già nessuno
le seconde aspettava né le terze.
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Così parlando il percosse un demonio
della sua scuriada, e disse: "Via,
ruffian! qui non son femmine da conio".
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Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che dalli uman privadi parea mosso.
E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parea s'era laico o cherco.
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Ed el gridò: "Se' tu già costì ritto,
se' tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se' tu sì tosto di quell'aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a 'nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?"
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Come i dalfini, quando fanno segno
a' marinar con l'arco della schiena,
che s'argomentin di campar lor legno,
talor così, ad alleggiar la pena,
mostrav'alcun de' peccatori il dosso,
e nascondea in men che non balena.
E come all'orlo dell'acqua d'un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fori,
sì che celano i piedi e l'altro grosso,
sì stavan d'ogne parte i peccatori;
ma come s'apprestava Barbariccia,
così si ritraén sotto i bollori.
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Tra male gatte era venuto il sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
e disse: "State in là, mentr'io lo 'nforco".
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Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi alli occhi, fatte della taglia
che in Clugnì per li monaci fassi.
Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia.
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Noi discendemmo il ponte dalla testa
dove s'aggiugne con l'ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta;
e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
.........
Tra questa cruda e tristissima copia
correan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e il capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco a un ch'era da nostra proda,
s'avventò un serpente che 'l trafisse
là dove 'l collo alle spalle s'annoda.
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Noi discendemmo in su l’ultima riva
del lungo scoglio, pur da man sinistra;
e allor fu la mia vista più viva
giù ver lo fondo, la ‘ve la ministra
dell’alto sire infallibil giustizia
punisce i falsador che qui registra.
Non credo ch’a veder maggior tristizia
fosse in Egina il popol tutto infermo,
quando fu l’aere sì pien di malizia,
che li animali, infino al picciol vermo,
cascaron tutti, e poi le genti antiche,
secondo che i poeti hanno per fermo,
si ristorar di seme di formiche;
ch’era a veder per quella oscura valle
languir li spirti per diverse biche.
Qual sovra ‘l ventre, e qual sovra le spalle
L’un dell’altro giacea, e qual carpone
Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,
guardando e ascoltando li ammalati,
che non potean levar le lor persone.
Io vidi due sedere a sé poggiati,
com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
dal capo al piè di schianze maculati;
e non vidi già mai menare stregghia
a ragazzo aspettato dal segnorso,
né a colui che mal volentier vegghia,
come ciascun menava spesso il morso
dell’unghie sopra di sé per la gran rabbia
del pizzicor, che non ha più soccorso;
e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie
o d’altro pesce che più larghe abbia.
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"O voi che sanz'alcuna pena sete,
e non so io perché, nel mondo gramo",
diss'elli a noi, "guardate e attendete
alla miseria del maestro Adamo:
io ebbi vivo assai di quel ch'i' volli,
e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti che de' verdi colli
del Casentin discendon giuso in Arno,
faccendo i lor canali freddi e molli,
sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
ché l'imagine lor vie più m'asciuga
che 'l male ond'io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia che mi fruga
tragge cagion del loco ov'io peccai
a metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov'io falsai
la Lega suggellata del Batista;
per ch'io il corpo su arso lasciai".
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"S'io dissi falso, e tu falsasti il conio"
disse Sinone; "e son qui per un fallo,
e tu per più ch'alcun altro demonio!"
"Ricorditi, spergiuro, del cavallo"
rispuose quel ch'avea infiata l'epa;
"e sieti reo che tutto il mondo sallo!"
"E te sia rea la sete onde ti crepa"
disse 'l Greco "la lingua, e l'acqua marcia
che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!"
Allora il monetier: "Così si squarcia
la bocca tua per tuo mal come sòle;
ché, s'i' ho sete ed umor mi rinfarcia,
tu hai l'arsura e 'l capo che ti dole;
e per leccar lo specchio di Narcisso,
non vorresti a 'nvitar molte parole".
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Ad ascoltarli er'io del tutto fisso,
quando 'l maestro mi disse: "Or pur mira!
che per poco che teco non mi risso".
Quand'io 'l senti' a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
ch'ancor per la memoria mi si gira.
Qual è colui che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
sì che quel ch'è, come non fosse, agogna,
tal mi fec'io, non possendo parlare,
che disiava scusarmi, e scusava
me tuttavia, e nol mi credea fare.
"Maggior difetto men vergogna lava"
disse 'l maestro, "che 'l tuo non è stato;
però d'ogne trestizia ti disgrava:
e fa ragion ch'io ti sia sempre a lato,
se più avvien che fortuna t'accoglia
dove sien genti in simigliante piato;
ché voler ciò udire è bassa voglia".
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Incredibile: tutto pare riferirsi ad avvenimenti e personaggi dei nostri giorni, ma, ovviamente, ogni collegamento non può che essere casuale... Tutto merito (o colpa) di Dante Alighieri e della sua immortale e intramontabile Opera.... Divina Commedia anche all'inferno...
Resta il quesito: quali e quanti nostri "illustri" contemporanei avrebbe "incontrato" nelle Malebolge, il Sommo Poeta, se fosse vissuto ai tempi nostri?
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Qualche dubbio, poi, che l'argomento non sia in linea con il titolo del blog? Non direi proprio: termini ricorrenti come falsador e monetier o (auto)accuse come "io dissi falso" e "tu falsasti il conio", il loro significato, i personaggi in quei "ruoli" e i guasti da loro causati, ieri come oggi, sono perfettamente in tema...
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Ruffiani, adulatori, barattieri (quelli che traggono illeciti profitti nell'esercizio di pubblici uffici), ipocriti, ladri e truffatori, consiglieri e predicatori fraudolenti (quelli che si mettono al servizio non della verità ma della frode e dell'inganno), calunniatori e seminatori di discordie, falsari in senso lato: sono presenti in gran numero (sarebbe più corretto dire infestano e imperversano) nei palazzi e negli altri luoghi della politica e del potere, oggi come e più di ieri...
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Auto-accuse, ammissioni e mea culpa comunque sempre tardivi (visto che avvengono all'inferno).
Da vivi, onnipotenti, arroganti e inattaccabili... finché morte non li coglie...
I successori pronti a perpetuarne la specie, qualcuno dirà...
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